La vecchia questione: “Esiste Dio?” trova una risposta appropriata. Accadde un paio di decenni fa ad un pastore di Los Angeles una storia che mantiene inalterata tutta la sua freschezza e la sua immediatezza dal momento che riesce a riflettere la verità e la verità non invecchia mai.
Il giovane aveva quell’assoluta certezza che serve a nascondere le insicurezze adolescenziali.
“Io non credo in Dio!” tuonò non appena entrò nel mio ufficio senza preavviso.
“Vuoi una tazza di caffè?”
Gliene offrì una senza la sua approvazione.
“Ora siediti e dimmi in quale sorta di dio tu non credi. Può darsi che neppure io creda nel dio che tu hai in mente”.
Controbatté alle mie battute. “Non credo in un dio che permette la violenza sui bambini, come nel caso della scuola McMartin o in quello di quel ragazzo di sedici anni rapito, violentato e ucciso, così come non credo in un dio che permette le guerre, …”.
“Latte e zucchero?”
“Solo latte, grazie … e la fame nel mondo e poi tutti questi scandali che ci lasciano senza speranza.”
Gli diedi la sua tazza e guardai fuori dalla finestra: gente, fiumi di persone circolanti per le strade in questa città selvaggia chiamata Los Angeles. La mia mente tornò ai tempi del tè e dei pasticcini quando ero ad Oxford, in quella bellissima estate dopo la guerra. Mi ricordai di C.S: Lewis, il professore di Oxford, mentre conversava di Cristianesimo con un giovane amico, Bill, che sarebbe andato poi in Vietnam senza più fare ritorno. “La guerra alla quale sto andando non ha alcun senso. La vita stessa non ha senso. Il mondo è totalmente irrazionale. Lo guardò dritto negli occhi. “Bill, tu hai appena fatto un’affermazione razionale e ciò elimina l’idea che il mondo sia totalmente irrazionale. Se fosse totalmente irrazionale, chi lo saprebbe? Da dove pensi arrivi la razionalità?”
Mi girai e posi la stessa domanda al mio giovane amico bevitore di caffè.
“Questa logica non funziona con me, io sono un ateo.”
Era il quinto adolescente ateo incontrato in quella settimana. Si tratta di un’esperienza psicologica più che di una conclusione intellettuale.
“La logica e i fatti in genere non funzionano molto bene con gli atei”, gli risposi. “La parola ateo significa che tu sai che non esiste Dio. Per affermare ciò significa che tu hai studiato tutta la verità esistente nell’universo e in esso non c’è Dio. Hai forse imparato tutto ciò che c’è da conoscere, oppure il tuo ateismo, così come il mio Cristianesimo, non è altro che un atto di fede?”
Si voltò verso di me. E io continuai: “In una precedente conversazione tu mi dicesti che la fede è l’ultima risorsa degli stupidi. Ebbene, ora tu stai facendo un atto di fede nel tuo ateismo … oppure pensi di conoscere tutto?”
“Certamente no.”
Cominciava ad essere un po’ arrabbiato con me.
“Se non conosci tutto, allora hai gli strumenti per dimostrare che Dio non esiste al di là della tua conoscenza e della tua esperienza?”
“No.”
“Allora tu non sei ateo, ma un agnostico.”
“Sì, presumo che sia così.”
“Hai appena finito di dirmi che tu non sai quello che sei.”
La sua rabbia cominciava a montare.
“Esatto, e che sorta di Dio è quello che lascia la gente inconsapevole di ciò che è. Come posso sapere chi Egli è quando non mi lascia conoscere chi sono io?”
A quel punto gli chiesi cosa stesse studiando al college e mi disse che era nella pubblicità.
“Immagina di essere il proprietario di un’agenzia pubblicitaria e che Dio scelga te per raccontare al mondo intero chi esattamente Egli è. Cosa faresti in quel caso?”
Raccolse la sfide. Prese un bloc-notes dalla mia scrivania e tracciò una riga nel mezzo della pagina. Da una parte scrisse “metodo”, nell’altra scrisse“problemi”.
Il primo punto relativo al metodo di programma nella pubblicizzazione universale di Dio fu “iniziare una religione”, ma poi lo cancellò subito:“Troppo divisivo, ne esistono già troppe”.
Quindi scrisse un altro metodo: “Metterlo in un libro”, ma immediatamente ne fu contrario perché “metà delle persone del mondo non sa leggere”.
E andò avanti a scrivere nuovi metodi per poi subito cancellarli perché ne vedeva i difetti.
Alla fine, mi guardò e sorrise.
“Il mio problema è che non riesco a trovare un’unicità nell’universo, nulla che possa essere capito da tutti gli esseri umani, con la quale identificarsi, amarsi e comprendersi. Se solo la scoprissi, potrei sapere come pubblicizzare Dio ad un mondo multilinguistico e multirazziale.”
Poi prese di nuovo la matita e scrisse:
“Se voglio pubblicizzare ciò che Dio è e come agisce, consiglierei che Egli diventasse un essere umano”:
Nella colonna “problemi” scrisse “nulla”.
Appoggiò la matita, mi guardò e tranquillamente disse: “Gesù Cristo ha senso”.
Aveva ragione. Gesù Cristo è il senso senza il quale tutto il resto perde di senso. Divenne ciò che noi siamo per essere uno strumento di comunicazione da Dio per farci comprendere chi Egli è e come opera.
I credenti cristiani credono che Dio sia così identificato con noi tanto da risolvere le tre grandi questioni che la scienza non è mai stata in grado di comprendere:
Il problema del peccato.
Il problema del dolore.
Il problema della morte.
Il telefonino
Sorpresa